20 settembre 1992
UN ARTISTA POLESANO
La vicenda artistica
e umana di Ugo Boccato
Una mostra ad Adria ne riassume le tappe più significative
Da quattro anni a questa parte ho avuto diverse occasioni per scrivere di Ugo Boccato: cercavo di mettere a fuoco gli aspetti essenziali della sua vicenda artistica man mano che venivo a conoscenza di sue opere.
La ricerca si è conclusa con l'allestimento della mostra che si è aperta ad Adria, con la collaborazione della "Pro Loco" e dell'Associazione culturale "Minelliana", nella ricorrenza del decimo anniversario della scomparsa del pittore.
E' la prima volta che una mostra cerca di riassumere con intenti di organicità la lunga carriera di Boccato, ma fatalmente i 46 quadri e la dozzina di disegni esposti nel salone del Circolo Culturale "L. Groto" non possono spiegare in modo esauriente un lavoro di circa settant'anni: bastano però a documentare la storia di uno spirito che sotto l'apparenza dimessa di un'esistenza provinciale viveva una dimensione assai più ampia.
E' evidente che Boccato non aveva le caratteristiche del grande innovatore e tanto meno del rivoluzionario: questo però non gli ha impedito di essere originale e autentico, perché fu un artista sincero.
La sua pittura maturò lentamente, per cause esterne e per effetto delle caratteristiche personali dell'uomo: non ebbe una vera scuola, e quindi dovette formarsi da solo; fra i venti e i trent'anni fu sradicato dal proprio ambiente dalla guerra in Libia e dalla prima guerra mondiale; aveva un carattere impulsivo, e perciò fu poco metodico; malgrado l'apparenza, non era un improvvisatore...
Il suo tirocinio formativo può considerarsi concluso solo all'inizio degli anni trenta, quando la "scoperta" dell'impressionismo francese gli rivelò quale strada doveva percorrere per essere se stesso.
Ma l'esperienza precedente - che gli aveva consentito di raggiungere già risultati meritevoli di ogni rispetto - non fu abbandonata repentinamente, e comunque rimase come linfa sotterranea (ma qualche volta anche affiorante) a nutrire di sé il lavoro di ricerca che sfociava in opere che sembrano nate di getto.
Del resto, la mostra mette in evidenza in modo esplicito come Boccato non sia mai caduto nella trappola della formula, cioè nella ripetizione meccanica di effetti pittorici coronati da successo per conservare le posizioni raggiunte: al contrario, egli seppe sempre mettergli in discussione, e pur nella coerenza della scelta di fondo compiuta, si rinnovò continuamente: ciò che costituisce una bella verifica di quella sincerità artistica a cui si faceva cenno prima.
La mostra retrospettiva di Boccato si presta anche ad un altro discorso: quello sulla cultura in Polesine nel nostro secolo.
Alludo alla proposta avanzata da Gian Antonio Cibotto con la mostra "Il Novecento in Polesine" nel 1987, e che per quanto riguarda le arti figurative ha avuto alcuni sviluppi soprattutto per merito di Antonio Romagnolo: l'argomento è rilevante perché costituisce il contesto nel quale i singoli episodi acquistano il giusto significato.
Ebbene: finora l'attenzione si è concentrata prevalentemente su Rovigo, com'è logico; ma anche altri centri hanno mostrato una notevole vitalità, e Boccato - che poté vivere sempre ad Adria dedicandosi aII'arte, sia pure in modo non esclusivo - ne è una prova.
Ma, poi, il discorso sui singoli centri ha tutta l'aria di essere riduttivo per affrontare un fenomeno di evoluzione sociale e culturale che si è manifestato anche in situazioni imprevedibili: del resto, i lavori di Rosalba Milan su Giuseppe Goltara, di Antonio Romagnolo su Policronio Carletti e, ora, di Lucio Scardino su Gino Colognesi, aprono direzioni di ricerca sulle quali sarà importante lavorare.
La mostra di Ugo Boccato (che rimarrà aperta fino al 12 ottobre), dunque, non è solo un'occasione per conoscere meglio un notevole artista polesano, ma anche per stimolare una migliore conoscenza del Polesine.
Leobaldo Traniello
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