12. UGO BOCCATO - monografia a cura del dott. Paolo Rizzi

Stampato nel mese di aprile 1983
Disegni di

UGO BOCCATO
dal 1910 al 1974

018-8x6 PREFAZIONE
Nel primo anniversario della scomparsa di Ugo Boccato (1890-1982) l'Amministrazione comunale intende dar corso ad una serie di manifestazioni idonee a far conoscere alla cittadinanza l'opera svolta per oltre mezzo secolo dall'illustre concittadino nel campo della pittura.
Le sue prime esperienze e le prime tavolette di soggetti ispirantesi alla terra polesana, di cui egli diverrà inimitabile interprete, accompagnano la fanciullezza del Boccato. La sua prima mostra viene fatta risalire all'ormai lontano 1914 e il giovane pittore ebbe modo di mettere in luce tutto il suo talento e la sua versatilità nella difficile arte del pennello e dei colori.
La strada percorsa da quest'uomo, dal tratto affabile ma dalla volontà ferma e decisa, non è stata sempre facile e le difficoltà incontrate nel tortuoso cammino della vita non sono state certamente poche. La passione per la tavolozza e l'amore per la terra natia vennero abilmente fusi ad unità e tradotti da una tecnica espressiva spontanea in creazioni sempre più qualificanti, fino a raggiungere i livelli della poesia e dell'arte. I suoi quadri sono la testimonianza di questo messaggio d'amore per la terra natia, del quale si deve cogliere il significato più profondo.
I valori artistici di Boccato vengono qui illustrati, con la competenza che lo contraddistingue, dal dott. Paolo Rizzi, critico di vasta fama. L'Amministrazione comunale intende ricordare l'impegno di Boccato in un 'attività che premia solo coloro che sentono il misterioso fascino dell'amore e della poesia. È con questi sentimenti che viene inaugurata nella "Casa comunale della cultura», per la prima volta, l'antologia grafica del pittore adriese.

VALERIO CAVALLARI Sindaco di Adria
Si alza il sipario sui pittori «minori» degli anni Venti e Trenta. Dovunque la riscoperta culturale di quello che è stato uno dei periodi più fecondi dell'arte italiana post-settecentesca, suscita interesse. Si studiano soprattutto i legami dell' artista con la storia e l'ambiente; si riallacciano nodi che parevano sciolti; si esaminano i cosiddetti «bordi», al di fuori delle «vie maestre» già battute. Ecco che, in questa «rivisitazione» che è ormai fenomeno generalizzato, anche una personalità del tutto discreta ed appartata come fu quella di Ugo Boccato (1890-1982) assume contorni cattivanti. Di questo artista vissuto quasi sempre ad Adria ma che nella giovinezza ha avuto non brevi esperienze artistiche a Venezia (1909-1910) e a Milano (1919-1920) presentiamo in questa pubblicazione, voluta dal Comune di Adria, una serie di disegni, per lo più risalenti al periodo tra gli anni Dieci e Trenta. Seguirà - sperabilmente - anche una monografia sulle pitture, per la quale peraltro occorre tutta un'azione di ricerca e catalogazione, dato che i quadri precedenti all'ultima guerra sono tutti dispersi nelle più svariate collezioni.
Crediamo non si possa disgiungere un sia pur sintetico studio della personalità di Boccato da quello che è l'ambiente - storico, culturale, ma anche fisico - in cui per tutta una lunga vita egli è vissuto. Adria, infatti, rappresenta nella civiltà veneta un territorio di confine, che ha sì risentito del grande riflesso della pittura lagunare, ma ha anche assorbito - soprattutto nel Quattrocento - la splendida fioritura dell'arte ferrarese. Per certi versi la mediazione (vedi i rapporti tra un Cosmè Tura e un Costa ferraresi e i Vivarini muranesi) è stata feconda, anche se poi, a partire dal Cinquecento, il «tono» veneto è prevalso. Una certa modalità gotica, o almeno una forma di realismo duro e umoroso, legato alla terra, è sempre rimasta. Come è rimasto - e persiste tuttora al prepotente influsso del «gusto internazionale» - il fondo della civiltà romana cui Adria è stata fin dalle origini legata. A ciò s'aggiunge la qualità stessa del luogo. Il paesaggio padano, alle foci del Po, ha un suo carattere peculiare, che appare inconfondibile nella sua dimensione combinata di terra-acqua-cielo, raccordata dalle tipiche foschie e nebbie. Il senso dell'umido è qualcosa di fisiologico, che investe anche la psicologia dell'uomo. Siamo, in realtà, in un luogo che, pur vicino alla grande modalità veneta, se ne distacca, o comunque costituisce un'isola a sè.
Vedere Boccato inserito in questo ambiente, con le sue lunghe propaggini culturali, significa capire meglio la sua produzione d'artista. Purtroppo, come s'è detto, abbiamo - a parte i disegni su cui ci soffermeremo - soltanto pallide e inadeguate riproduzioni fotografiche della sua pittura ante-1940, quasi sempre senza precisazioni cronologiche. La costante, specie nelle opere giovanili, è l'impronta realistica. Indubbiamente nei primi dipinti (anni Dieci) Boccato risente di un certo simbolismo greve che è tipico del momento e che accomuna, ad esempio, un Marius De Matia ad un Arturo Martini. Proprio negli anni (1909-1910) delle prime mostre capesarine egli era a Venezia per studiare pittura, dopo che era stato licenziato dalla Scuola d'arte applicata all'industria di Adria.
Nulla sappiamo delle sue esperienze di allora: non ci sono testimonianze ne dirette né indirette. In una frettolosa nota Boccato accenna alla conoscenza di Milesi e Pomi. Certo però che il pittore dovette aver visto la Biennale del 1909 (dove, va ricordato per inciso, le maggiori mostre erano dedicate ad accademici e virtuosi del pennello come Tito, 20m, Besnard, Stuck, Kroyer ecc.) e le due mostre di Ca' Pesaro (in cui spiccavano nella prima la sala di Moggioli e nella seconda la grande personale di Ugo Valeri). È probabile che Boccato, allora ventenne, abbia visto anche la mostra «storica" di Ca' Pesaro del 1910, in cui comparve per la prima volta Gino Rossi. Chissà se si riuscirà in futuro a trovare qualche traccia, qualche testimonianza; ma ne dubitiamo. Se dovessimo basarci sui rarissimi disegni datati (ma ci permettiamo di dubitare anche delle date, che potrebbero essere state apposte successivamente, «a memoria» l'impressione sarebbe quella di un Boccato appena toccato dall'arte del tempo e rivolto invece ad uno studio assai accurato del gusto neo - quattrocentesco, di ispirazione nordica, quindi nutrito di echi tardo-romantici. In ogni caso la permanenza dell'artista a Venezia avvenne in anni (1909-10) di transizione, pieni di fermenti che preludevano alla «rivoluzione» capesarina del 1912 e degli anni seguenti.
L'impronta che si ricava dalle pur scarse testimonianze fotografiche (ripetiamo: solo fotografiche) degli anni Venti e Trenta ci mostra peraltro un Boccato piuttosto lontano dai modelli derivati dal rinnovamento avvenuto a Ca' Pesaro negli anni Dieci. La sua pittura è soda, ben squadrata, d'un nitore che evidenzia la forma sul colore. Si tratta in genere di figure, per lo più femminili, di maternità e di nature morte di semplici oggetti e frutta, più qualche raro paesaggio. Non è fuor di luogo identificare la matrice anche, se non principalmente, nel clima della pittura lombarda di quel dopoguerra. Boccato fu infatti a Milano nel 1919 - 20: si iscrisse alla Famiglia Artistica e. alla Società di Belle Arti e conobbe e frequentò pittori come Donato Frisia, Angelo Cantù, Amisani e altri. Siamo negli anni che precedono la nascita del classicismo vero e proprio; ma la tendenza è la stessa che poi sfocerà nel movimento del «Novecento». Predomina la semplicità della forma, con la sua icastica evidenza; e il colore si fa basso e sobrio, proprio per obbedire all'austera compattezza dell'oggetto. Del resto, Carrà è l'esempio più chiaro di questa tendenza.
Boccato è quindi, in quegli anni Venti e più sicuramente nei successivi anni Trenta, l'interprete di una pittura che potremmo definire, latamente, <<novecentesca». In alcuni quadri (documentazione fotografica) c'è addirittura una sintesi «bruta», con tagli secchi e sfumature grezze:
di lontano si sente l'eco dell'interpretazione cézanniana che allora si diffondeva in Italia. Ma l'immagine da formalistica si fa talora espressionistica, con accenti che paiono dolorosi, sia 007-8x6pur stemperati in una «solennità» che nasce anche dalla ripresa di gusto dei «primitivi» (da Giotto fino a Masaccio). Nè vanno trascurare talune, sia pur lontane, reminescenze «nordiche», forse casoratiane o, magari, desunte dagli esempi veneti del tipo Cagnaccio di San Pietro. In ogni caso Boccato dimostra di essere perfettamente dentro il clima culturale del suo tempo: il pittoricismo tardo-ottocentesco è spazzato via con decisione. Il che è importante per un pittore che viveva in un ambito vicino alla dominante culturale veneziana. Di qui il desiderio di poter accedere direttamente a quei quadri: tutti, come s'è detto, al momento introvabili.
Sono i disegni - cui si riferisce questo voIumetto - a darci un contatto diretto più immediato con la posizione estetica di Boccato, anche se pochissimi tra essi recano una data. I primi, tra gli anni Dieci e l'inizio degli anni Trenta, sono in genere a punta sottile (matita o penna) eseguiti con rara finezza, addirittura goticheggianti. C'è un clima di tenerezza, ma anche di distacco: taluni soggetti di figura (il Ragazzo assorto n. 2, il delicatissimo Ritratto di mia moglie n. 8) sono in un clima di filigrana addirittura neo-quattrocentesca. Tutto vi è pacato, filtrato, quasi depurato d'ogni scoria. Un silenzio solenne aleggia su questi fogli, anche laddove (come nel bel Paesaggio datato 1910) è riprodotto un quotidiano scorcio di paese. L'impostazione realistica prevale naturalmente nei ritratti più immediati, come i due giovanili (n. 3 e n. 4) o quello dell'uomo con cappello (n. 6); ma dovunque un velo di sentimento, trattenuto da una sorta di pudore, avvolge i disegni: e non ci pare casuale, in questo clima, la frequenza di soggetti nel sonno, soprattutto bambini (n. 7, n. 9, n. 10 e altri ancora). Si intuisce l'uomo che lavora in solitudine, in un luogo appartato, lontano dal chiasso del mondo. Artista discreto, che vuole restare all'interno del suo bozzolo dorato. Eppure, in quegli anni Boccato passava attraverso vicende travagliate e impegnative: la guerra del 1915-18, cui partecipò come fante; il successivo matrimonio (1918) con Maria Antonia Donà e la nascita dei figli (che saranno alla fine ben undici); la crisi economica gravissima del dopoguerra; il soggiorno a Milano (1919-20) e il rientra definitivo ad Adria.
Con gli anni il segno si fa più sicuro, più deciso; le forme acquistano maggior plasticità e sintesi. Lo studio attento della realtà si rivela anche in alcuni disegni accademici. (n. 11, n. 12) cui si collegano altri fogli a tratteggio serrato, che risentono certo della maniera allora in voga (Milesi, Ettore Tito): come l'eccellente Mia moglie con mio figlio (n. 13) fortemente chiaroscurato alla maniera d'una acquaforte. Una sorta di classicismo monumentale è esemplificato soprattutto dai gruppi delle maternità (ad esempio i nn. 15 e 16): qui si sente la lezione dei Casorati e dei Funi, allora giovani maestri sulla cresta dell'onda. Ma in verità il cammino di Boccato, almeno stando ai disegni, corre senza contraccolpi, senza sussulti, anche laddove dal tratteggio chiaroscurale egli passa ad un linearismo sobrio e  «musicale», come in quello che è certo uno dei disegni più belli: il n. 18 (Mio figlio) così immediato nella resa, ma nel contempo così idealizzato nel fluire del segno curvo.
È chiaro che la produzione di questo periodo, almeno sino. alla fine degli anni Trenta, obbedisce ad un gusto compositivo sempre equilibrato, raccolto, dove è prevalente l'interesse per una «congruità» della forma. Nella serie dei ritratti si intuisce un animo sereno, o che almeno cerca di raggiungere nel momento dell' arte una serenità altrimenti difficile da raggiungere. La sequenza dei disegni passa attraverso i decenni, appena sfiorata da rivoluzioni estetico o ideologiche. Nella sua amata Adria, Boccata coltiva la sua Musa all'interno degli affetti familiari e allargando, semmai, il suo sguardo sempre al paesaggio.
003-8x6 Sono i paesaggi - di cui in questo volumetto sono riprodotti alcuni esemplari - che dalla fine degli anni Venti fino agli anni precedenti la morte (avvenuta nel 1982) contrassegnano la produzione dell' artista. Può apparire una cesura; forse è soltanto un bisogno di libertà. Le vedute della campagna adriese, immersa tra acqua e cielo, acquistano sempre più larghezza, sempre più respiro. È la caratteristica del Boccato maturo, che s'avvia ad una lunga vecchiaia. Al contatto con un paesaggio così sfuggente come quello padano, così librato nei valori meramente atmosferici, il segno rapido di Boccato cerca di cogliere il «senso» dell'atmosfera. È uno sforzo arduo, attuato sempre attraverso la chiarezza del tracciato (in genere inchiostro o carboncino) che indica l'aderenza ad una chiarezza mentale. Il segno si fa sempre più fluido, quasi mai secco e puntuto: esso ricorda, alla lontana, gli esempi sommi d'un Rembrandt, con il quale c'è anche una certa affinità nella tematica dei paesaggi larghi e piatti, umidi e sciolti.
I disegni più recenti (dal dopoguerra agli anni Settanta) si raccordano ai dipinti, di cui abbiamo larga conoscenza. Il tema di centro è il paesaggio palesano, soprattutto rivierasco) con lo slargarsi della prospettiva tra cielo, acqua e terra. In senso lato si potrebbe definire impressionistico questo modo di dipingere e disegnare, in quanto legato alla captazione del momento fenomenico: quindi resa delle luci trasparenti od opache, dei valori fumiganti, dei riflessi equorei, del cangiare di colori sugli argini e sugli alberi. In ciò Boccato è un interprete assai sensibile, oltre che abile. Ma ciò che lo contraddistingue è proprio l'aderenza, direi umorale, ai valori della sua terra; ed è per questo che gli adriesi si riconoscono nei quadri di Boccato. Nessuna sdolcinatura, nessun effettismo: bensì una sorta di impeto, una forza vitale, un'apertura di sentimento. Si riconosce il realismo della terra polesana, che cerca una sua definizione formale (e per certi versi plastica) pur nei valori dell'atmosfera. In un certo senso Boccata ripercorre l'esperienza cézanniana: consolidare, «realizzare». I disegni sono esempio probo di questa impostazione: vivaci e rapidi ma anche sicuri, rigogliosi ma anche parchi, e soprattutto estremamente puntuali, cioè aderenti alla concretezza dell' ambiente.
Un' artista così, pur vissuto isolato, al di fuori dei mutamenti drammatici del secolo, merita una più attenta considerazione. Non si tratta soltanto di un omaggio da parte di coloro che lo hanno amato e stimato in vita. Si tratta di una riproposta culturale che - oggi più che ieri appare plausibile, nel segno di un' aderenza dell'uomo, e non solo dell'artista, all'ambiente da cui ha tratto la sua spinta vitale e in cui ha affinato il suo talento.

PAOLO RIZZI

Nessun commento: